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mercoledì 18 agosto 2010

I cecchini del governo contro la Carta

di Massimo Villone * su il manifesto del 18 agosto 2010

Lo scontro istituzionale tra Pdl e Quirinale scuote la politica con inusitata violenza. I fatti. Da una maggioranza in decomposizione si levano grida scomposte che l’unica alternativa a Berlusconi è il voto. Si minaccia persino la discesa in piazza per l’unico vero e giusto capo del governo. Napolitano, in un’intervista a l’Unità, rivendica i poteri che la Costituzione gli affida nelle crisi di governo. Chiede sobrietà e rispetto delle istituzioni. Le sue parole sono lette come apertura a un possibile governo tecnico, e la polemica cresce. Il vicepresidente dei deputati Pdl – non l’ultimo dei peones – lo accusa di tradire la Costituzione. Dal Quirinale una secca nota sfida ad azionare lo strumento per tali casi previsto: l’impeachment per attentato alla Costituzione. Bene. Sarebbe davvero assordante il silenzio di un capo dello stato di fronte all’esplicita accusa di tradire la Costituzione. Un contesto di altissima febbre istituzionale. L’impeachment è stato attivato una sola volta, nei confronti di Cossiga. La procedura non arrivò a concludersi, perché la DC, partito di maggioranza relativa e di governo, fece quadrato, e l’opposizione non aveva i numeri – forse nemmeno la convinzione – per andare fino in fondo. Ma quel presidente aveva rovinosamente «picconato» la Costituzione. Lo dico con tutto il rispetto comunque dovuto a chi proprio in queste ore ha cessato di vivere. Nella mia opinione, la sentenza della Storia è già definitiva. Oggi, invece, siamo nella serie degli organi neutrali e di garanzia – presidenza della Repubblica, corte costituzionale, CSM – messi nel mirino dai cecchini governativi. Per l’art. 92 il capo dello stato nomina il presidente del consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri. Apparentemente, nessun limite al potere di nomina del presidente del consiglio. Ma il limite c’è, e lo troviamo nell’art. 94 laddove prescrive che il governo deve avere la fiducia delle camere. Dunque il capo dello stato deve nominare chi in prospettiva può ottenere il voto favorevole in parlamento. In questo senso il capo dello stato con la nomina non entra nella dialettica maggioranza-opposizione. Per questo i costituzionalisti hanno considerato sempre con diffidenza governi «elettorali», nominati in vista dello scioglimento subito dopo un prevedibile e anticipato diniego della fiducia. E hanno guardato con cautela ai «governi del presidente», esecutivi di emergenza mandati al voto di fiducia con il solo sostegno del capo dello stato e senza un precostituito accordo di maggioranza. Come entra in questo il popolo sovrano che – secondo la vulgata del Pdl – elegge direttamente il capo del governo? Appunto, non entra. È ben vero che la legge elettorale prevede un «capo» della coalizione, e che l’evoluzione in senso bipolare del sistema politico in qualche modo anticipa l’identità del futuro premier. Di questo le consultazioni postelettorali del presidente della Repubblica hanno già preso atto. Ma è un’evoluzione che di per sé non nega il dato costituzionale. Perché nominando quel «capo» della coalizione il presidente della Repubblica sceglie appunto chi in prospettiva può avere il voto favorevole delle camere, in specie con la gruccia del premio di maggioranza. E se la crisi viene in corso di legislatura? Il Pdl grida al tradimento degli elettori se si cambia governo o maggioranza. Ma qui c’è un dato insopprimibile. Per l’art. 67 Cost. il parlamentare non ha vincolo di mandato. Tutti i governanti sognano in parlamento un obbediente parco buoi. Ma chi studia sa che proprio sulla libertà del parlamentare sono nati i moderni parlamenti. Un parlamentare può votare il governo che crede. Se i suoi elettori si sentono traditi, certo lo puniranno nel successivo turno elettorale. Cosa c’entra in questo il capo dello stato? Esattamente nulla. Il presidente della Repubblica è chiamato solo ad accertare se esiste una maggioranza parlamentare a sostegno di un esecutivo. Niente di più, niente di meno. L’accertamento può essere sostanzialmente automatico, all’inizio di legislatura e con la legge elettorale vigente. Oppure può essere assistito da una più o meno ampia discrezionalità in corso di legislatura, in rapporto alle condizioni politiche concrete. E il potere di scioglimento si connette all’esistenza o meno di quella maggioranza. Se esiste, non si scioglie. Se non esiste, si scioglie. Questo è il dato costituzionale. La nostra tormentata esperienza conferma la saggezza dei costituenti. E conferma anche l’errore di chi a sinistra ha dimenticato le ragioni che storicamente avevano condotto a privilegiare la centralità della rappresentanza politica. Di chi ha ceduto alle ingannevoli sirene del presidenzialismo di fatto, dell’investitura popolare del leader con la sua maggioranza, della governabilità come bene pervasivo e assoluto. Di tutto questo vediamo ancora una volta gli esiti perversi. Anche il costituzionalista è chiamato a manifestarsi in prima persona, per ricostruire una cultura in cui sia chiaro che la casa della democrazia si trova a Montecitorio e Palazzo Madama, e non a Palazzo Chigi. * Ordinario di diritto costituzionale – Facoltà di Giurisprudenza di Napoli.



venerdì 9 luglio 2010

Amministratori con l'auto guidata dai vigili urbani

la tribuna di Treviso — 07 luglio 2010   pagina 24   sezione: PROVINCIA


Amministratori in giro con l’auto della polizia locale guidata da un agente. La denuncia arriva dai consiglieri di «Preganziol Insieme» che danno voce alle segnalazioni dei cittadini. «Mesi fa la giunta aveva sbandierato il trasferimento di un’auto di servizio, da loro definita auto blu, alla polizia municipale, facendola passare come una scelta di rigore e impegno per la sicurezza - dicono i consiglieri - Ci vengono però segnalate con sempre maggiore frequenza uscite degli amministratori con quest’auto, con un agente chiamato a svolgere le mansioni da autista. Da sedicenti moralizzatori i nostri amministratori sono diventati praticanti dei vizi della casta politica». «Ci si lamenta giustamente perché i vigili sono pochi», concludono, «ma poi si impiegano come autisti di sindaco ed assessori». (ru.b.)

mercoledì 16 dicembre 2009

Art. 49 Costituzione Italiana

“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.”



La proposta dei giovani del Pdl di Treviso, che vorrebbero mettere al bando i partiti di opposizione, è un grave attacco alla democrazia e alla libertà. Libertà che in Italia è stata ottenuta anche grazie ai moltissimi comunisti, il cui contributo è stato essenziale durante la Resistenza e per la stesura della Costituzione italiana. L'atteggimaneto di Di Maio e Maggio ricorda il fanatismo religioso e ciò è molto inquietante, perché è proprio questo l’atteggiamento che rende violento lo scontro politico e che, passando per il non riconoscimento dell'avversario, porta allo scontro senza quartiere. Le parole di Di Maio e dei suoi rievocano il Ventennio, ma non ci spaventano. Noi giovani comunisti non interrompiamo la nostra lotta politica e difenderemo sempre la Costituzione e la democrazia. Per questo la Fgci e i Giovani Comuniste/i di Treviso organizzano un presidio che si terrà Venerdì 18 in piazza Aldo MORO a partire dalle ore 15.00.

lunedì 7 dicembre 2009

Poste Italiane e il conto corrente del PDL

Al numero 10806040 corrisponde un conto corrente postale particolare. È l’unico per il quale allo sportello non è previsto il pagamento di alcuna tassa o commissione. Almeno così è stato da maggio al 25 novembre scorso per più di un migliaio di operazioni. Il conto fa capo ad un’organizzazione che rientra nella categoria «Istituti ed Enti con finalità di assistenza e beneficenza». Quell’organizzazione si chiama Pdl: Popolo delle Libertà.
Se per Natale vi viene voglia di fare una buona azione e destinare qualche euro ad un’associazione di volontariato, impegnata magari nella lotta a qualche male incurabile, sappiate – ma lo saprete già – che inviare dei soldi con un bollettino postale costa 1,10 euro. Che sia per i terremotati d’Abruzzo, gli alluvionati di Messina, i bambini adottati a distanza, poco importa. La commissione o tassa viene richiesta – legittimamente – allo sportello. Solo se siete ultrasessantenni o se l’operatore è autorizzato la tassa può essere eliminata. Viceversa è lo stesso sistema operativo (PGO), cioè il computer, che applica automaticamente la tariffa al bollettino. Salvo in un caso, appunto. Quello del conto 10806040, intestato al partito del presidente del Consiglio e del quale l’organizzazione si serve per raccogliere le adesioni e le associazioni presso la sede di Via Ufficio del Vicario 49, a Roma.

Una stranezza che è stata segnalata
 dagli stessi dipendenti delle Poste, che in uffici e regioni diverse hanno provato quello che stiamo raccontando. Trovatisi di fronte a neofiti delle Libertà, che volevano iscriversi al Pdl attraverso il modulo prestampato che si può scaricare anche sul sito del partito (www.ilpopolodellaliberta.it), gli ignari impiegati hanno pensato di aver sbagliato qualcosa nell’operazione. Hanno provato e riprovato più volte. Ma niente: nelle Marche, nel Lazio, in Toscana, sempre lo stesso risultato. Non paghi, e rispettosi della par condicio, i suddetti lavoratori hanno voluto verificare se anche il Partito democratico godesse dello stesso privilegio e hanno destinato qualche spicciolo (come si vede dalla foto) all’organizzazione guidata da Pierluigi Bersani. Con grande sorpresa, però, hanno scoperto che, seppur il Pd sia registrato nella speciale classificazione di Poste Italiane come «Ente con finalità di assistenza e beneficienza», come tutti paga la tassa.
 
Perché al Pdl è stato applicato lo sconto, se di questo stiamo parlando? O forse si è trattatto più semplicemente di un problema tecnico che si è prolungato per mesi? Ad ottobre il sito delle Poste è stato attaccato da hacker poi individuati. Qualche giorno dopo invece «anomalie derivate dall’aggiornamento della piattaforma tecnologica» hanno madato in tilt i titolari di Banco Posta. Alcuni – secondo Adoc il 70-80% dei 6,2 milioni di titolari di Postamat – hanno visto per un giorno i loro conti andare in rosso per migliaia di euro. Interpellata sulla questione del bollettino Pdl, l’azienda controllata dal ministero del Tesoro e dalla Cassa Depositi e Prestiti, ha risposto – mercoledì sera – che la cosa «non è possibile. Poste incassa sempre la tassa». Al massimo il Pdl potrebbe aver chiesto di accollarsi l’onere di tutti i bollettini e pagare dopo. Ai lavoratori però sembra strano che questo sia avvenuto fino al 25 novembre, mentre dal giorno dopo il sistema è tornato a chiedere un euro e dieci centesimi anche per le operazioni del conto 1080604