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venerdì 24 settembre 2010

FdS e Pd a confronto. Prove di dialogo al via

La difesa della Costituzione ha fatto da elemento portante della discussione mercoledì alla festa nazionale della FdS. Claudio Sardo de “Il Messaggero” ha moderato l’incontro fra il segretario del Pd Pierluigi Bersani e il portavoce della Federazione Cesare Salvi. Una Costituzione a cui si è richiamato sin dalle prime battute Bersani, strappando applausi quando l’ha definita, nonostante le accuse di conservatorismo che giungono dal suo stesso partito, «la più bella del mondo». Bella tanto da essere ancora ”avanti” e – come ricordato da Salvi – «da risultare spesso inapplicata». L’incontro si è svolto alla vigilia della direzione del Pd. Salvi non è entrato nel merito nelle vicende interne dei democratici ma ha espresso apprezzamenti per la mutazione emersa con la segreteria Bersani. L’attenzione alle questioni sociali e il tramonto della logica dell’autosufficienza sono necessari per costruire relazioni. Bersani ha rivendicato una rotta semplice e chiara che definisce una alleanza programmatica e di Governo, con precise garanzie politiche da proporre alle forze più vicine. Accanto a questa si propone una interlocuzione su temi fondamentali, aperta anche a chi, marca una propria alternatività. Bersani vede il Pd come il soggetto che si assume le responsabilità, ma gli interlocutori hanno cercato di ragionare a tutto campo avendo punti di convergenza, elementi di forte distanza e ambiti di confronto da sviluppare. Il clima fra i due, reso confidenziale dalla provenienza dal medesimo partito, ha giovato ad un dibattito brioso, a tratti frizzante, in cui si marcavano  elementi di autonomia e volontà di dialogo concreto. Parlando di riforma elettorale i due esponenti convenivano su una forte critica al sistema vigente. Salvi ha ripercorso il fallimento dei 16 anni di maggioritario, si è augurato un ritorno ad un sistema proporzionale con soglia di sbarramento, e ha notato come anche l’infatuazione verso questo modello sia in forte calo. «Non c’è stata reale democrazia diretta, non c’è stata stabilità dei governi, è aumentato il numero dei partiti, si è ad un punto per cui il partito che prende più voti, ha la maggioranza assoluta dei parlamentari e determina tutte le scelte in maniera autoritaria con una torsione presidenzialista e plebiscitaria». Bersani pur continuando a prefigurare un sistema maggioritario secondo cui chi va a votare deve poter decidere di sostenere una coalizione di governo, considera necessaria una riforma. «Non è una questione tecnica ma politica – ha affermato – non sogno di tornare alla prima repubblica ma non mi impicco al tipo di modello da elaborare. Non so se si potrà fare con questo governo – teoricamente ci sarebbero i numeri ma la crisi politica fa pensare che sia impossibile – sarà necessario un governo di transizione che riscriva le regole. Una cosa che nel Paese non può più essere accettata è che la scelta degli eletti sia demandata al leader. Stiamo poi attenti a parlare di crisi del bipolarismo, noi per decenni abbiamo vissuto col muro in casa, da noi sono nate le contrapposizioni fra guelfi e ghibellini». Si è poi discusso di temi sociali ed economici e per dar conto di differenze e assonanze. Sia Salvi che Bersani reputano necessari gli investimenti sulla ricerca e sull’università, condividono l’idea che una competitività internazionale non si possa ottenere comprimendo diritti e abbassando i costi del lavoro, è simile anche la critica ad una politica fiscale equa. Si è ricordato che Profumo ha avuto come liquidazione dopo le dimissioni da Unicredit di 40 milioni di euro, che lo stipendio di Marchionne è di 5 milioni, che la crisi ha fatto arricchire chi già ricco era e, contemporaneamente, ha portato al calo dei consumi. Allo stesso modo si è convenuto sull’intangibilità della gestione pubblica di settori come la scuola, la formazione, la sanità e la sicurezza. Dopo di che alcune risposte sostanziali hanno marcato la salutare differenza che di deve essere fra una Sinistra e un ipotesi di riformismo moderato. Per Salvi la pubblicizzazione di banche e dei beni comuni è anche occasione di moralizzazione e di sviluppo, la non disponibilità delle grandi aziende a investire, anzi la tendenza a “raschiare il fondo” anche durante la crisi spartendosi i dividendi come accade in Fiat, va combattuta. E non casualmente ha provato a definire le ragioni di un socialismo del XXI secolo. Bersani considera alcune liberalizzazioni “di sinistra” perché hanno portato aziende italiane a entrare nei mercati internazionali. Il segretario del Pd continua a proporre un mercato soggetto a regole per cui il Marchionne di turno non può fare come gli pare di fronte alla sentenza di reintegro dei lavoratori Fiat, per cui lo Stato possa non avere il monopolio ma intervenire. Del resto, per entrambi il problema Fiat è nella qualità dei prodotti che non trovano mercato, non sono certo 3 operai a creare la crisi e l’esempio tedesco a cui Marchionne si richiama spesso, prevede uno Stato e un capitalismo ben diversi. Salvi ha direttamente chiesto che si accelerino le interlocuzioni per definire i punti di accordo e gli impegni che Federazione e Pd possono assumere già da ora, richiamandosi alle parole di Berlinguer  rispetto alla “questione morale” come questione politica. Bersani si è dichiarato disponibile – tenendo conto che il cronometro della crisi politica è in mano a Berlusconi- e ha invitato la Federazione a collaborare ad un Osservatorio che dovrà segnalare tutta la legislazione prodotta dal governo Berlusconi e che ha favorito il dilagare della corruzione e del clientelismo. Leggi che andranno quando questa maggioranza – Berlusconi, Bossi, Cuffaro- andrà a casa, cancellate. Insomma un confronto positivo in cui su alcune questioni, vedi referendum sull’acqua pubblica, le primarie, o la nuova maggioranza di governo in Sicilia, il segretario del Pd è stato evasivo, dove si è ragionato però poco di formule politiciste e molto di contenuti, da cui è emerso il rispetto per la reciproca autonomia. La critica condivisa, anche se con approcci diversi all’esperienza dell’Unione, sembra aver trovato soluzioni praticabili che potrebbero ridare fiato ad una idea diversa e più alta della politica. L’attenzione dimostrata dalle quasi 500 persone che hanno assistito al dibattito, la volontà di capire e di non abbandonarsi a semplificazioni  ha rappresentato un segnale su cui vale la pena riflettere. 

mercoledì 18 agosto 2010

I cecchini del governo contro la Carta

di Massimo Villone * su il manifesto del 18 agosto 2010

Lo scontro istituzionale tra Pdl e Quirinale scuote la politica con inusitata violenza. I fatti. Da una maggioranza in decomposizione si levano grida scomposte che l’unica alternativa a Berlusconi è il voto. Si minaccia persino la discesa in piazza per l’unico vero e giusto capo del governo. Napolitano, in un’intervista a l’Unità, rivendica i poteri che la Costituzione gli affida nelle crisi di governo. Chiede sobrietà e rispetto delle istituzioni. Le sue parole sono lette come apertura a un possibile governo tecnico, e la polemica cresce. Il vicepresidente dei deputati Pdl – non l’ultimo dei peones – lo accusa di tradire la Costituzione. Dal Quirinale una secca nota sfida ad azionare lo strumento per tali casi previsto: l’impeachment per attentato alla Costituzione. Bene. Sarebbe davvero assordante il silenzio di un capo dello stato di fronte all’esplicita accusa di tradire la Costituzione. Un contesto di altissima febbre istituzionale. L’impeachment è stato attivato una sola volta, nei confronti di Cossiga. La procedura non arrivò a concludersi, perché la DC, partito di maggioranza relativa e di governo, fece quadrato, e l’opposizione non aveva i numeri – forse nemmeno la convinzione – per andare fino in fondo. Ma quel presidente aveva rovinosamente «picconato» la Costituzione. Lo dico con tutto il rispetto comunque dovuto a chi proprio in queste ore ha cessato di vivere. Nella mia opinione, la sentenza della Storia è già definitiva. Oggi, invece, siamo nella serie degli organi neutrali e di garanzia – presidenza della Repubblica, corte costituzionale, CSM – messi nel mirino dai cecchini governativi. Per l’art. 92 il capo dello stato nomina il presidente del consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri. Apparentemente, nessun limite al potere di nomina del presidente del consiglio. Ma il limite c’è, e lo troviamo nell’art. 94 laddove prescrive che il governo deve avere la fiducia delle camere. Dunque il capo dello stato deve nominare chi in prospettiva può ottenere il voto favorevole in parlamento. In questo senso il capo dello stato con la nomina non entra nella dialettica maggioranza-opposizione. Per questo i costituzionalisti hanno considerato sempre con diffidenza governi «elettorali», nominati in vista dello scioglimento subito dopo un prevedibile e anticipato diniego della fiducia. E hanno guardato con cautela ai «governi del presidente», esecutivi di emergenza mandati al voto di fiducia con il solo sostegno del capo dello stato e senza un precostituito accordo di maggioranza. Come entra in questo il popolo sovrano che – secondo la vulgata del Pdl – elegge direttamente il capo del governo? Appunto, non entra. È ben vero che la legge elettorale prevede un «capo» della coalizione, e che l’evoluzione in senso bipolare del sistema politico in qualche modo anticipa l’identità del futuro premier. Di questo le consultazioni postelettorali del presidente della Repubblica hanno già preso atto. Ma è un’evoluzione che di per sé non nega il dato costituzionale. Perché nominando quel «capo» della coalizione il presidente della Repubblica sceglie appunto chi in prospettiva può avere il voto favorevole delle camere, in specie con la gruccia del premio di maggioranza. E se la crisi viene in corso di legislatura? Il Pdl grida al tradimento degli elettori se si cambia governo o maggioranza. Ma qui c’è un dato insopprimibile. Per l’art. 67 Cost. il parlamentare non ha vincolo di mandato. Tutti i governanti sognano in parlamento un obbediente parco buoi. Ma chi studia sa che proprio sulla libertà del parlamentare sono nati i moderni parlamenti. Un parlamentare può votare il governo che crede. Se i suoi elettori si sentono traditi, certo lo puniranno nel successivo turno elettorale. Cosa c’entra in questo il capo dello stato? Esattamente nulla. Il presidente della Repubblica è chiamato solo ad accertare se esiste una maggioranza parlamentare a sostegno di un esecutivo. Niente di più, niente di meno. L’accertamento può essere sostanzialmente automatico, all’inizio di legislatura e con la legge elettorale vigente. Oppure può essere assistito da una più o meno ampia discrezionalità in corso di legislatura, in rapporto alle condizioni politiche concrete. E il potere di scioglimento si connette all’esistenza o meno di quella maggioranza. Se esiste, non si scioglie. Se non esiste, si scioglie. Questo è il dato costituzionale. La nostra tormentata esperienza conferma la saggezza dei costituenti. E conferma anche l’errore di chi a sinistra ha dimenticato le ragioni che storicamente avevano condotto a privilegiare la centralità della rappresentanza politica. Di chi ha ceduto alle ingannevoli sirene del presidenzialismo di fatto, dell’investitura popolare del leader con la sua maggioranza, della governabilità come bene pervasivo e assoluto. Di tutto questo vediamo ancora una volta gli esiti perversi. Anche il costituzionalista è chiamato a manifestarsi in prima persona, per ricostruire una cultura in cui sia chiaro che la casa della democrazia si trova a Montecitorio e Palazzo Madama, e non a Palazzo Chigi. * Ordinario di diritto costituzionale – Facoltà di Giurisprudenza di Napoli.



martedì 29 giugno 2010

Relazione Marx XXI - Vladimiro Giacché – Crisi economica e derive autoritarie




I presupposti economici dell’attacco alla Costituzione

 Relazione per il Convegno dell’Associazione Marx XXI “Neoliberismo, crisi e attacco alla Costituzione”


scarica QUI la relazione





martedì 8 giugno 2010

MARX XXI: Treviso 25 Giugno 2010

MARX XXI Associazione Politico Culturale
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Venerdì 25 Giugno, ore 20.30
Sala del Centro Sociale Aldo Moro
- Piazza Fabris - Carbonera di Treviso

Unità dei comunisti
LE POLITICHE LIBERISTE DELL'UNIONE EUROPEA E IL RUOLO DEI COMUNISTI IN ITALIA E IN EUROPA

Introduce: Renata Moro (MarX XXI Treviso)

Coordina: Marina Alfier (Comitato politico regionale Veneto PRC)

Iintervengono:
Andrea Catone - Direttore de l'ernesto
Francesco Francescaglia - Resp.le Naz.le Dip.Esteri PdCI
Fosco Giannini - Direzione Nazionale PRC

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MARX XXI Associazione Politico Culturale



giovedì 24 dicembre 2009

FDS - Organismi dirigenti e loro composizione

Il 5 dicembre è partita la Federazione della Sinistra, promossa da Prc, PdCI, Socialismo 2000 e Lavoro e Solidarietà. Di seguito pubblichiamo gli organismi dirigenti della FdS e la loro composizione.

Coordinamento Nazionale

PAOLO FERRERO (Portavoce Nazionale di turno) 
CLAUDIO GRASSI 
ORAZIO LICANDRO 
GIAN PAOLO PATTA 
ALESSANDRO PIGNATIELLO 
ROSA RINALDI 
CESARE SALVI

Consiglio Nazionale

VITTORIO AGNOLETTO 
FABIO AMATO 
NICOLA ATALMI 
FRANCESCO BARRA 
CLAUDIO BELLOTTI 
PIERGIORGIO BERGONZI 
IRENE BREGOLA 
ALBERTO BURGIO 
CESARE CAIAZZA 
MARIA CAMPESE 
ELENA CARRADORI 
VALERIA CASTELLI 
ROSALBA CESINI 
VINCENZO CHIEPPA 
ANNA RITA COPPA 
ELISA CORRIDONI 
SILVIO CRAPOLICCHIO 
ANTONINO CUFFARO 
OLIVIERO DILIBERTO 
GIANNI FABBRIS 
ROBERTA FANTOZZI 
GIANNI FERRARA 
PAOLO FERRERO 
ELEONORA FORENZA 
FRANCESCO FRANCESCAGLIA 
NINO FROSINI 
SILVIA GARAMBOIS 
MASSIMO GATTI 
CLAUDIO GRASSI 
RITA LAVAGGI 
ORAZIO LICANDRO 
EZIO LOCATELLI 
MARIA RITA LODI 
MERIDA MADEO 
MARIA ROSARIA MARELLA 
FRANCESCO MARINGIO' 
LEONARDO MASELLA 
MARINA MELAPPIONI 
RICCARDO MESSINA 
LORETTA MUSSI 
NICOLA NICOLOSI 
ALFIO NICOTRA 
LUCA NIVARRA 
FABIO NOBILE 
GIANNI PAGLIARINI 
MANUELA PALERMI 
ROBERTO PASSINI 
NELLO PATTA 
GIAN PAOLO PATTA 
GIANLUIGI PEGOLO 
PAOLA PELLEGRINI 
FULVIO  PERINI 
TONINO PERNA 
CIRO PESACANE 
ALESSANDRO PIGNATIELLO 
MARILDE PROVERA 
ROSA RINALDI 
AUGUSTO ROCCHI 
SARA ROCUTTO 
ROSSANO ROSSI 
RAFFAELE SALINARI 
CESARE SALVI 
ENZA SANSEVERINO 
RITA SCAPINELLI 
CONCETTO SCIVOLETTO 
PINO SGOBIO 
TOMMASO SODANO 
ROBERTO SOFFRITTI 
ANITA SONEGO 
BRUNO STERI 
LAURA STOCHINO 
MARIO TORELLI 
MICHELANGELO TRIPODI 
JACOPO VENIER 
GIOVANNI VIGILANTE 
GIUSEPPE VITELLO 
STEFANO ZUCCHERINI


mercoledì 16 dicembre 2009

Art. 49 Costituzione Italiana

“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.”



La proposta dei giovani del Pdl di Treviso, che vorrebbero mettere al bando i partiti di opposizione, è un grave attacco alla democrazia e alla libertà. Libertà che in Italia è stata ottenuta anche grazie ai moltissimi comunisti, il cui contributo è stato essenziale durante la Resistenza e per la stesura della Costituzione italiana. L'atteggimaneto di Di Maio e Maggio ricorda il fanatismo religioso e ciò è molto inquietante, perché è proprio questo l’atteggiamento che rende violento lo scontro politico e che, passando per il non riconoscimento dell'avversario, porta allo scontro senza quartiere. Le parole di Di Maio e dei suoi rievocano il Ventennio, ma non ci spaventano. Noi giovani comunisti non interrompiamo la nostra lotta politica e difenderemo sempre la Costituzione e la democrazia. Per questo la Fgci e i Giovani Comuniste/i di Treviso organizzano un presidio che si terrà Venerdì 18 in piazza Aldo MORO a partire dalle ore 15.00.